Quando e come potranno andare in pensione i lavoratori nati negli anni 80?
Pensioni più sostanziose per chi ha goduto di contratti a tempo indeterminato e salari dignitosi, pensioni scarne e tardive per la classe 1980: le (brutte) novità 2017.
I pregi della riforma Fornero e l’adeguamento dell’età pensionabile
La riforma Fornero, subentrata nel 2011 alla normativa approvata dal ministro Dini, ha efficacemente messo a freno i pensionamenti precoci a cui ricorsero gli italiani prima del 2011.
Dal momento dell’approvazione della riforma Fornero (attualmente ancora in vigore) sono state erogate pensioni di anzianità a lavoratori di circa 60 anni, e pensioni di vecchiaia a lavoratori di circa 66 anni e mezzo: una sorta di rivoluzione, poiché l’età media dei lavoratori in diritto di ricevere i due tipi di pensione si è alzata di almeno 5 anni rispetto agli anni in cui era in vigore la riforma Dini.
Naturalmente la pensione di anzianità e quella di vecchiaia possono essere concesse soltanto al raggiungimento di un certo anno di età e tale soglia viene calcolata in base all’aspettativa di vita degli italiani. Questo meccanismo, detto adeguamento, va a totale sfavore delle pensioni per i nati negli anni 80 i quali, stando agli ultimi calcoli, potranno andare in pensione a 73 anni e mezzo.
Le pensioni per i nati negli anni 80:
Chi è nato negli anni 80 e ha quindi cominciato a lavorare (nella migliore delle ipotesi) intorno al 1996, potrà accedere alla pensione di vecchiaia a 69 anni e 5 mesi dopo aver versato almeno 20 anni di contributi. La pensione maturata in questo modo varrà una volta e mezzo l’assegno sociale e ammonterà a 640 Euro (in base al valore attuale dell’assegno sociale).
Chi non riuscisse a soddisfare questi requisiti entro i 69 anni e 5 mesi a causa di assunzioni brevi, contratti di lavoro precari e lunghi periodi di disoccupazione potrà andare in pensione ben 4 anni dopo, cioè a 73 anni e 5 mesi.
Paradossalmente potrà accedere alla pensione anticipata (a 63 anni e 5 mesi) solo chi avrà versato 20 anni di contributi e raggiungendo un importo non inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale: 1.050 euro netti.
Risulta ovvio quindi che coloro che hanno goduto di un lavoro stabile e ben remunerato per gran parte della propria vita potranno andare in pensione prima dei lavoratori più sfortunati e godendo di un assegno mensile più elevato.
L’unica strada per mettere un freno a questa paradossale situazione di ingiustizia sociale passerà attraverso assunzioni stabili e per un lungo periodo, un aumento dei salari e premi di produttività.